L'anemia emolitica autoimmune è una malattia autoimmune nella quale i globuli rossi (gli elementi figurati del sangue che trasportano l’ossigeno, legato all’emoglobina, dai polmoni verso i tessuti e l’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni) sono attaccati da degli autoanticorpi che ne riducono la sopravvivenza e causano l'anemia emolitica (lo stato patologico in cui si ha una bassa concentrazione di emoglobina nel sangue).
Si distinguono una forma primitiva (idiopatica), e una secondaria a infezione. Può anche associarsi a malattie come i linfomi a cellule B, altre malattie autoimmuni, la malattia di Hodgkin, l'epatite, immunodeficienze primitive, o – ancora – essere scatenata da una reazione ai farmaci.
La malattia può insorgere a qualunque età, gradualmente così come con insorgenza improvvisa, ed è, seppure di poco, più comune nel sesso femminile.
Si manifesta con una debolezza atipica e affaticamento (associato a tachicardia e dispnea da sforzo). Possono manifestarsi anche ittero, urine scure e splenomegalia (ingrossamento della milza).
La diagnosi è fondata su esami di laboratorio e sull'individuazione degli autoanticorpi. Va distinta dalle altre cause non autoimmuni di anemia emolitica. Il trattamento dipende dalla forma (in quella scatenata da farmaci, per esempio, la loro sospensione può anche essere risolutiva). Nelle anemie emolitiche autoimmuni cosiddette “calde” (in relazione alla reattività alla temperatura degli autoanticorpi), si impiegano i corticosteroidi, trattamenti immunosoppressivi e, se necessario, si può rimuovere la milza. Nelle anemie emolitiche autoimmuni cosiddette “fredde” i corticosteroidi e la rimozione della milza non sono efficaci, mentre può essere sufficiente tenere il paziente al caldo.